Era da un po’ di tempo che non assistevamo al ritorno del nostro spaesato investigatore dell’incubo nella Golgonda. Lanzoni ed uno strepitoso Gerasi ci portano indietro, facendo a Dylan Dog un salto in avanti.
Dopo l’episodio what if (e ve ne parlo qui), torna il dittico infernale ad opera dell’ingegner Lanzoni. Dopo un colpo all’inferno andato male, ritroviamo Dylan all’interno delle prigioni di sale della Golgonda.
All’epicità da fantasy urbano del leggendario numero 41, in queta nuova storia tornano nuovi personaggi ma il contesto, inevitabilmente si esplicita. Se la storia di Sclavi abitava un contesto squisitamente assimilabile alla poetica di Edgar Allan Poe, con un orrore interiore profondo mefitico, questo ritorno esternalizza i demoni rinnovando una visione simile a quella Lovercraftiana.
La Golgonda rimane simile ad una fortezza Bastiani da cui è impossibile fare ritorno e Dylan, dopo essersi cimentato con gli heist movie, si ritrova imprigionato nei film sulle prigioni.
Questo genere di storia risponde ad un canone ben preciso. L’ostilità che le guardie provano verso il protagonista deve essere condivisa da almeno una parte degli altri prigionieri, ed il nostro, può trovare asilo solo in una ristretta cerchia di coscritti che finiranno per essere la sua squadra evasione. E dove il miglior amico finirà per fallire mettendo tutti a repentaglio, e l’ultima mela marcia mostrerà gran cuore e sacrificio.
Tutto molto bello.
Ma questo fuga da Golgonda cita a piene mani il capolavoro del 1961 di John Sturgess (il libro da cui è tratto sembra essere perfino più interessante), con un giovane Steve McQueen come coscritto in un campo di prigionia tedesco. parlo de La Grande Fuga ovvio. e quasi sembra di sentirne la marcetta.
È impossibile non notare il paragone. Dalla copertina con Dylan in sella ad una moto, demoniaca, fino alla scena della stanza di isolamento con il demone palla da baseball. Ma perché un perfetto inglese, dandy con le Clark, dovrebbe toccare una palla da baseball? Dylan non è un tipo sportivo, e di sicuro non saprebbe cosa fare con una palla da baseball…
Le matite di Sergio Gerasi. Più di una volta ho scritto quanto adori i suoi lavori (ve ne parlo qui, ma non basta). Il suo stile sta crescendo esponenzialmente e le sue tavole, ricoperte di minuziosi dettagli sono un incredibile piacere per gli occhi.
I panorami della Golgonda sono resi affascinanti e caotici proprio dalla perizia con cui si addentra nel raccontare una storia parallela fatta di design e mostri oscenamente bislacchi.
Se normalmente sono le donne ad avere il suo favore, in questo caso la figura di Dylan ne emerge scavata, ossuta, smunta ma non sofferente. Eppure, sebbene le due splash pages di cui in principio di albo racconta le difficoltà tecniche, è nella sequenza finale, con una espressione di Bloch afflitto ma non domo, che conquista completamente l’attenzione.
In questo la penultima scena è completamente carica di pathos ed energia.
Ma in generale, sono tavole che meritano di essere viste.
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