La nuova serie di Capitan America mi ha colpito, probabilmente in un modo positivo. Chip Zdarsky mi suscita sempre reazioni contrastanti, ma, in questo caso credo che abbia avuto una buona idea.

Per rendere l’idea, avevo amato alla follia la prima parte della sua run su Daredevil, su come poi avesse portato ad evolverla, bè ho qualche riserva. Stesso discorso per il suo lavoro con Batman, mentre nutro amore imperituro per la sua Life Story dedicata a Spider Man.
Anzi, credo proprio che quello dovrebbe essere il modo in cui ci si dovrebbe accostare ai personaggi seriali che ormai contano decadi sulle loro spalle. Non si può più ignorare il flusso del tempo e, i cambiamenti che possono sembrare impercettibili se presi a piccole dosi, dovrebbero avere un impatto più forte sulla biografia dei personaggi.

Il parallelismo tra un anno nel mondo del fumetto e cinque anni nella Vita Reale (qualunque cosa possa significare), funzionava soltanto quando c’era la continuity a sorreggere tutta l’architettura dell’Universo Narrativo.
In epoca di continui rilanci, credo che questa considerazione non valga più. Lo scorrere del tempo è proprio uno degli elementi chiave di questo rilancio di Capitan America.
Prima di addentrarci in profondità però, concedetemi una considerazione un po’ amara : tre rilanci in quasi quattro anni significa che qualcosa non va. Può dirsi lo stesso per Iron Man e probabilmente per tutta una serie di personaggi che hanno vissuto un momento di massimo splendore agli albori del Marvel Cinematic Universe. Detto ciò, scriver Capitan America è dannatamente difficile. Stiamo parlando di un personaggio che rappresenta lo spirito di una nazione. Basta un piccolo passo falso per sprofondare nella retorica, e poco di più per essere accusati di fare politica. Ed in tempi di MAGA, è un maledetto campo minato.
Chip Zdarsky adotta una strategia intelligente, focalizzandosi su un periodo della storia di Cap che è stato toccato veramente poco, ossia il momento in cui i Vendicatori lo recuperano dal ghiaccio e lo reinseriscono nella società.

Per necessità narrative il momento non può più corrispondere agli Sessanta, come accadeva nel numero originale degli Avengers. Ma anche così la scelta è opinabile. Raccontare le lotte interiori di un uomo che riprende a vivere dopo decadi nel ghiaccio è molto interessante, perchè permette di esplorare il modo in cui il sistema di valori di un uomo possa mutare a contatto con una società differente ma diretta emanazione di quella per cui ha lottato e si è sacrificato.
D’altra parte, inserire questo evento a ridosso dell’undici settembre 2001, crea dei problemi evidenti. Localizzare una data così specifica ci consente di fare dei conti su cui la famosa legge temporale Marvel. Dire che Cap è stato risvegliato nel 2001 significa che, essendo le altre storie dell’Universo Marvel ambientate nel 2025, ci si trovi davanti ad un Cap di circa cinquanta anni.
Se applicassimo la legge temporale Marvel, i sessantaquattro anni trascorsi tra il primo viaggio dei Fantastici Quattro e ora, varrebbero appena 12 anni. Per cui, considerato che gli anni si contano a ritroso dal presente, Cap verrebbe scongelato circa nel 2013 ed avrebbe non più di trentasei anni. E così per tutti gi altri personaggi Marvel.

Modificare quel singolo atto, in termini di continuity porterebbe alla più sostanziale riscrittura dell’universo Marvel dai tempi di Krakoa. Certo, per quello che vale ora la continuity.
Le storie di Cap, malgrado ciò funzionano bene, il personaggio è ripulito da tantissimi elementi che lo avevano imprigionato nel mood della run di Brubaker e questo forse è già un vantaggio. Valerio Schiti fa un lavoro eccezionale e, in generale, sembra promettere bene.
Il problema con Zdarsky però non è mai come inizia, ma come chiude. Per cui, per il momento, ci resta solo di stare a vedere.
