C’era una volta un super esperto dell’universo Marvel. Conoscitore così vasto che talvolta, per arrivare ad essere completamente godibili, i suoi fumetti, avevano le note. Non lo dico a caso : parlo di due capolavori della storia contemporanea della Casa delle Idee, Avengers Forever e Marvels. Due storie tra loro diversissime ma accumunate da un fattore ineludibile, a passione smodata per la storia dell’universo Marvel.
Di questo, Kurt Busiek ne è sempre stato colmo. Se dovessimo trovare un equivalente alla Distinta Concorrenza, ci dovrebbe venire in aiuto il Geoff Johns dei primi anni 2000. Anche là, questione di passione e talento.
Il nostro Kurt ha scritto pagine memorabili dalla storia Marvel, e non mi dimentico neppure quel crossover fenomenale che risponde al nome di JLA vs Avengers in coppia con George Perez all’epoca team creativo dei Vendicatori stile Ritorno degli Eroi. E storia colpa di azione e suspense.
Ma naturalmente è il revisionismo fotorealistico di Marvels ad avere lasciato il segno. Come a dire, roba da Golden Globe tutto il resto. Ma è con quello che vinci l’Oscar. E con Marvels, coadiuvato da un Alex Ross senza il quale il progetto non sarebbe neppure concepibile, si riuscì a fare la Meraviglia. Scrivere e raccontare la storia dell’universo Marvel dal punto di vista dell’uomo della strada, con un realismo dipinto che rendeva i personaggi credibili molto prima che arrivassero Kevin Feige e tutto l’MCU.
All’epoca si lanciò la moda delle storie fotorealistiche, fino a quando, dall’altro lato, Mark Waid, assieme al solito Alex Ross, non decise di raccontare la fine della strada in quel capolavoro biblico che è Kingdom Come. Non fatevi ingannare, sono due cose differenti, ma esattamente combacianti, come lo Ying e lo Yang.
Quanto al concetto di Marvels, ci si provò a tornare più e più volte, spesso senza Alex Ross, fino a che l’essenza del progetto svanì completamente nel mare magnum di proposte supereroistiche. E d’altronde si sa, i personaggi Marvel non tengono molto il ritmo con il revisionismo ideologico.
Il che mi spinge ancora di più a cercare di trovare un senso nel progetto the Marvels che Kurt Busiek scrive assieme a Yildiray Cinar. La miniserie, di recentissima uscita in USA e di prossima pubblicazione in volume anche in Italia, dovrebbe raccontare gli ottanta anni di storia della Casa delle Idee attraverso una serie di episodi con personaggi sempre differenti. I Vendicatori, una versione atipica dei Fantastici Quattro, strani gruppi che mescolano supereroi di diverse ere.
Insomma, un curioso minestrone che, oltre a tradire il concetto di base della serie, il super realismo, si scosta anche dal secondo impatto, che è quello del rispetto della storia Marvel.
Se dovessi fare un paragone, mi verrebbe in mente l’inedito in Italia the Lost Generation di John Byrne, dove quello che si cercava era proprio definire un trait d’union tra silver e bronze age. Qui neppure quello, in questo margine slegato di episodi, compaiono anacronismi e a volte si fa a fatica a capire il vero filo conduttore. I disegni di Cinar, di matrice vezzosamente classica, funzionano alla perfezione restituendoci una familiarità di questi personaggi distante minuti luce dalla versione più recente.
L’esperimento insomma, si perde per strada e, va detto che, in questo concetto, la diversa scansione del flusso temporale è stata gestita ottimamente da Life Story , con protagonista l’Uomo Ragno e dietro la macchina da scrivere l’immenso Chip Zdarsky.
Insomma, a voler definire una storia con criteri temporali atipici ma renderla godibile, e comprensibile, c’è tutto il margine. L’importante è il non farsi trascinare nelle montagne russe multidimensionali, che, da sole aggiungono un potenziale layer di noia. Senza dare nulla in cambio.