Il terzo episodio del reboot dylaniato fa uno strano effetto. Da un certo punto sembra di capire tutto molto più chiaramente. Dall’altro, i punti interrogativi si accumulano e la trama, che incastra forse con un deus ex machina troppo evidente due storie differenti, spinge a riflettere.
Messo da parte lo speciale scritto da Bilotta, che a mio parere prenderà una luce completamente differente una volta uscito il prossimo albo, questo secondo numero della trilogia di Lanzoni si occupa di proseguire le trasformazioni messe in atto nel precedente. Mostrando però un evidente cambio di regia.
Se nel primo episodio era evidentissima infatti la spinta verso una meta narrazione che a tratti omaggiava il Pratt di Favola di Venezia (ne parlo qui) , l’abbrivio in questa seconda parte è molto più umano ed empatico.
Barbara Baraldi si occupa delle ultime parti della trilogia, e pur connettendosi in modo non invasivo al numero precedente, ci offre una percezione nettissima del meccanismo di azzeramento della continuity dal punto di vista di Dylan.
Parliamo chiaramente : chi è cresciuto a pane e crisi DC, sa benissimo cosa significa una trasfigurazione della realtà per un ritorno ad uno stato preesistente. Interi elementi vengono cancellati in una modalità non priva di imperfezioni che, infatti, lasciano segni evidenti ad occhi sensibili, mostrando chiare tracce di una realtà che non c’è più. O peggio, non c’è mai stata.
In questa storia Barbara, assieme al suo partner in crime sempre più inarrivabile, Sergio Gerasi, ci racconta esattamente questo. Uomini vuoti compaiono facendo scomparire una moglie dalla camera da letto. Il marito si sveglia, ma pensa sia stato solo un incubo, perché lui, quella moglie, non l’ha avuta mai, e la camera, è sempre stata soltanto la sua.
Dylan è chiamato ad indagare e, con una transizione al limite dello psichedelico viene trasportato proprio al centro di un’altra eliminazione. Questa volta molto più prossima a lui.
La gestione di quelli che, se fossimo immersi in Matrix, potrebbero benissimo essere dei glitch di sistema, viene reso in maniera emotiva, quasi straziante. Del resto, quanto è doloroso dimenticare di aver follemente amato qualcuno che non esiste più?
Il deus ex machina dietro questa trasformazione è quella specie di Eddie (fan degli Iron Maiden, sapete di cosa parlo, vero?) che nell’episodio precedente è stato responsabile della scomparsa di John Ghost. In effetti, rimanendo in un contesto supereroistico anni ’90, sembra molto di più Kaine, clone sbagliato di Peter Parker. Il che ci porterebbe ad una diretta connessione proprio a quello speciale di Bilotta che in principio consideravamo un po’ slegato. E se fosse appunto un semplice clone di Dylan, resta comunque da spiegarsi perché la trasformazione della realtà passa attraverso delle transizioni che ricordano davvero piccole perturbazioni di uno schermo al plasma.
Non cambia il fatto che questo reboot è al momento un complesso sistema di sottrazione che si sta occupando di eliminare i comprimari più recenti della continuity dylaniata. Se nel numero precedente tocca a John Ghost, in maniera indolore, quanto indolore è stata effettivamente l sua presenza in questi ultimi anni, la seconda parte di questo albo di porta ad una sparizione molto più raffinata e dolorosa. È un peccato, perché c’erano delle sotto trame lasciate aperte dallo scorso anno (ne parlo qui) e che forse non vedranno più la luce. Ma nel mentre, il personaggio che se ne va, lo fa con una grazia ed una scarica emotiva che farebbe vergognare la scena finale di Six Feet Under.
Graficamente Sergio Gerasi è insuperabile e senza tema di smentita, lo definisco tra i più talentuosi capisaldi della sua generazione. Il suo è un naturalismo che convive sottilmente con una concezione astratta della realtà. Riflessa nelle sue linee mai veramente rette che piegano giusto un attimo prima di precipitare nella follia. Un equilibrio mica da ridere che convive con uno degli addii più toccanti che questa serie ricordi.
Malgrado manchi un solo numero per chiudere tutto è davvero troppo presto per comprendere l’impostazione e giungere a conclusioni. Forse la destinazione è davvero prossima. Ma mai come questa volta, quello che è davvero importante è il viaggio.