
Si parla del nuovo lavoro di Alessandro Bilotta da parecchio tempo. Da molto di più del suo esordio anticipato nel FCBD di mesi fa. Se ne parla come se ne parla ogni volta, perché è questo che suscita Alessandro, la capacità di interessare, di coinvolgere emotivamente ed intellettualmente. Ogni volta sappiamo che sarà una grande sfida. Sia Valter Buio o Mercurio Loi. Sia il Dylan Dog invecchiato del pianeta dei morti. I personaggi che Alessandro porta sul suo personalissimo palcoscenico hanno tutti qualcosa da raccontare, e quando lo fanno bisogna stare attenti.

Potrebbe essere una sfumatura, od una frase che solo casualmente appare posizionata dove non avremmo mai pensato. Ma è il segno di una architettura narrativa di largo respiro, strutturata per stupire e assemblata per il gusto, possente e vigoroso, di raccontare storie.
Gli uomini della settimana non è affatto esente da questo processo creativo ed anzi lo spinge in una direzione alquanto ambiziosa. Scrivere di super eroi in Italia, con una ambientazione italiana, è quanto di più complesso possa esistere. Non tanto per la materia trattata, ma per l’ambientazione. E mi spiego, dovessi scivolare nella politica (non che sia un problema, si intenda). La maggior parte dei super eroi americani pesca a piene mani dal patrimonio culturale di una nazione dove parlare di bandiera e patria ha una connotazione completamente differente rispetto a come possa suonare, in modo sinistro da noi. Inoltre il loro mettersi al di sopra della legge, riflette quel diritto alla difesa personale che gli emendamenti alla costituzione americana garantiscono. Forse semplifico troppo il concetto, ma il punto di partenza non è troppo lontano.

Gli uomini della settimana non possono fare affidamento su questo, eppure sin dal principio, scherzano con la materia trattata, invertendo il topoi del super soldato che affronta i nazisti. Si cita lo spettro della strage di Marzabotto per raccontare l’Aquila il super soldato che, decenni dopo è ridotto a mera riproduzione collezionistica per il mercato delle action figures. Siamo in pieno decostruzionismo revisionista. Così mentre il gruppo stesso, gli uomini della settimana, rimanda a quei minutemen di memoria Mooriana, la definizione di ogni personaggio, con rimandi spinti alle avanguardie artistiche, struttura idee intellettualmente stimolanti. Bilotta è troppo avanti per propinarci la classica rivisitazione della Justice League come molti prima di lui (vero Mark Millar?) e, al contrario, evita quasi completamente quegli stereotipi per definire personaggi che giocano con la quarta parete in un tripudio di ironia. La mia preferita è Da Da Da con il potere di modificare le parole dette da chiunque, riscrivendo letteralmente il ballon. Se capite il livello su cui siamo.
Questo primo volume strutturato con tre racconti di ventidue pagine ciascuno, nel perfetto canone del comic book. Così, mentre il primo episodio, era quello già edito nel FCBD e ci porta a fare una breve conoscenza con gli uomini della settimana e scoprire la morte dell’Aquila (nessuno spoiler, la storia è pubblicata da mesi), nel secondo ne viviamo la diretta conseguenza con l’introduzione della nemesi, l’Invisibile, quel nemico che nessuno ha mai visto e che non si è mai palesato, ma c’è. Se indossi una maschera, devi per forza vivere in un clima di paranoia, no?

Il terzo forse rappresenta una parentesi più introspettiva, sempre giocata sul vincolo del surreale. Ma permette di approfondire meglio i personaggi di Da Da Da e di Alter. Il colpo di scena finale, ribaltante, lascia spazio a qualsiasi tipo di valutazione.
Un applauso va assolutamente a Sergio Ponchione, già collaboratore del nostro ai tempi di Mercurio Loi e che qui gioca sui canoni della cultura pop con un character design che rimanda allegramente a Mike Allred rendendo un’Italia influenzata dalla presenza supereroistica, totalmente affascinata come solo l’Italia saprebbe davanti ad un fenomeno pop passeggero.
Il fascino dell’iniziativa colpisce in maniera assoluta anche se, come al solito, sono curioso di vedere dove andrà a parare per potermi godere completamente la storia. È un volume che non dovete assolutamente perdere però perché si tratta di un’occasione, per chi ama gli eroi in costume, di rileggere lo stereotipo in una chiave che non sia assolutamente derivativa.
E che, al solito, porti a qualche insolito margine di riflessione.