Ho pensato molto prima di scrivere queste righe. Così tanto per sforzarmi di trovare una cosa sensata, una cosa che potesse esprimere il pensiero più chiaramente possibile. Si tratta di comprendere ragioni complesse qui, non crediate che sia un elemento semplice.
Per quanto adesso noi nerd abbiamo definitivamente conquistato il mondo dell’entertainment e tutti quelli che sapevano parlare solo di calcio hanno dovuto trovarsi altri argomenti di conversazione, restano comunque decadi di complesso di inferiorità e frustrazione.
Potrei ricordarmi di me stesso, giovane e imberbe ad uno stabilimento balneare di Maccarese. Intento ad andare in spiaggia con una raccolta rilegata artigianalmente dei primi numeri dei Transformers Play Press. I ragazzi, e le ragazze mio Dio!, mi guardavano strano e mi ricordavano che da là a poche settimane avrei avuto le scuole medie. Come a dire, sta attento bello, gioca finché puoi, che dopo arriva la vita a triturarti. Bè, arriva per tutti, no?
Se è per questo mi ricordo me stesso nello sesso posto qualche anno dopo portarmi i in spiaggia i libri della Yoshimoto e di William Gibson solo per sentirmi dire, attento che poi c’è l’università!
Ok, ammettiamo pure che forse ho frequentato i posti non più adatti alle mie passioni. Ma qui vorrei parafrasare il buon vecchio Nick Hornby di Alta Fedeltà : siamo inetti socialmente perché ci piacciono i fumetti, o ci piacciono i fumetti perché siamo inetti socialmente?
Una domanda che mi tengo per dopo.
Continuiamo a parlare delle esperienze di un (non più tanto) giovane nerd : chi di voi non ha una madre che parlando di voi ancora adesso dice che comprate giornaletti?
Ecco, credo che da sola quella è la cosa che più riesce a farmi innervosire. Perché è una vita che tendo di sdoganare la questione. Lasciate perdere se chiamarli graphic novel, nuvole parlanti o più genericamente fumetti. Per una vita, per me, parlare di giornaletti li accumunava a qualcosa che appartiene all’infanzia più remota, qualcosa che possa essere considerato indegno in qualche modo. E allora giù di giustificazioni pesantissime per spiegare che Maus, Watchmen o Gen di Hiroshima sono capolavori dell’arte e nessuno dovrebbe permettersi di dire il contrario.
Che poi è la stessa reazione che ha avuto la maggior parte del gotha del fumetto questa settimana a seguito delle considerazione di Dorfles in TV. I fumetti non saranno mai complessi come i libri. Non ci sono cazzi ragazzi, per quanto vi forziate, restate un pubblico inferiore.
E potrei pure cercare di capire le reazioni di un certo tipo di salotti, che si sono visti soppiantare piano piano spazio nelle librerie. A Zerocalcare il titolo di Ultimo Intellettuale, manco fosse Highlander.
Ma alla fine mi rendo conto di una cosa che più di ogni altra mi rattrista. Sto diventando troppo vecchio, e la mia vita troppo complessa, per avere ancora voglia di preoccuparmi di queste cose. tutto questo affannarsi, tutto questo sbattersi per farci avvalorare, per fare si che la nostra passione si mostri in grado di bruciare al passo di quelle degli altri.
Ma sapete cosa? Chi se ne frega.
Tanto ci sarà sempre qualcuno a cui non piaceremo e che trarrà pubblico ludibrio nel metterci in un ghetto e dire semplicemente ‘tu no!’ . Nella fumetteria che ormai frequento da più di una decade un ragazzo, il poster boy dell’inettitudine sociale militante, una volta ha fatto una considerazione piuttosto interessante. Se ci appassioniamo a storie di tizi in costume significa che in fondo, siamo danneggiati.
Non riesco ad accettare neppure questa autoghettizzazione. Sarebbe come dire che chi segue il calcio a quarant’anni ha un problema psicologico con quell’epoca aurea in cui passava il tempo nei campetti di periferia a giocare a pallone. Siamo tutti merce danneggiata a modo nostro? Probabilmente si, ognuno trova un po’ di pace dalle difficoltà della vita dedicandosi a qualcosa che ama.
Il problema è che anche in quello, anche quel momento privato e delicatissimo, nell’era dei social è sotto il pubblico mirino. E giù di gogna mediatica. Che poi ci dimentichiamo tutti una cosa semplicissima : Salinger, Shakespeare, Tartantino, Kirby e Abrams, facevano tutti la loro cosa perché a loro modo erano e sono dei nerd. E bè, per dirla con l’immortale professor Keating, anche per rimorchiare. Ma quella forse è un’altra storia.
Chiudo questa carrellata con le parole, quasi immortali del mio amico Enrico, organizzatore di Etna Comics e partner in crime di Comics Generation. Si ci piacciono io giornaletti, proprio quelli con i tizi che si riempiono di botte, e allora?
In effetti inorgoglirsi per la mia passione senza per forza motivarla a salire di chissà quale ipotetico rango mi fa sentire meglio, e di sicuro mi eviterà di mandare a quel paese mia madre la prossima volta che passo a trovarla prima di andare in un negozio di fumetti.
Tra l’altro questo clima da riunione di condominio non conosce limiti. Vi faccio un (altro) esempio : sempre nella stessa spiaggia, una volta un signore parecchio più anziano di me (ossia che aveva l’età che ho io adesso!) mi avvicinò e mi chiese se fosse vero che anche io leggessi i fumetti. Risposi tutto contento, certo, Marvel e manga. Lui mi guardò schifato, con una certa distanza. Ah no, io solo quelli che hanno detto qualcosa, tipo Carl Barks! Avete presente Nanni Moretti in Caro Diario? Ecco, auguri!
Ma il punto non è quello. Il punto è che se si comincia a fare la riunione di condominio, manco nello stesso appartamento, perfino nella stessa stanza non si riesce ad andare d’accordo. Ecco perché sarebbe meglio parlare delle cose che ci piacciono invece di denigrare quelle che non vorremmo nel nostro salotto.
Mi resta comunque la domanda iniziale. Chi è nato prima il nerd od i fumetti per nerd? Non lo so. Ma comincio a non avere più voglia che qualcuno venga a spiegarlo per me.