Io a Michele Rech gli voglio bene. Non perché veniamo dalla stessa città e parliamo lo stesso idioma. Ma perché abbiamo fatto le notti a rivedere i primi episodi dei Cavalieri dello Zodiaco in attesa che qualche televisione regionale comprasse la seconda parte. Perché condividiamo la cultura Straight Edge. Ed in certa misura anche l’etica DYI.
Ma se c’è una cosa che ci accumuna alla grande è la fratellanza di paranoia. Io per Michele quando si fa tutte le paranoie sull’essere compreso, sull’essere frainteso, sull’essere incompreso, provo davvero una fortissima empatia. Che all’inverso poi mi fa arrabbiare quando su queste posizioni ci si sclerotizza mostrandosi più rigido di me che sono un vecchio!
Vi faccio un esempio : tutta la storia degli accolli, questo discorso straordinariamente autoreferenziale per cui lui si sente stressato da tutte le persone che richiedono la sua presenza/supporto solo perché è Zerocalcare, mi pesa. Sei un personaggio di rilievo, hai deciso che per vivere dovevi far pubblicare i tuoi ‘disegnetti’ ? E bè se poi qualcuno si fa sotto perché vuole coinvolgerti in qualcosa ti tocca pure di starci, no?
Poi leggi il menù di questa nuova raccolta di storie e provi a trovarne una chiave di lettura. Riferimenti alla cultura pop, minimali. Storie del Secco, del Cinghiale, di tutto il resto del cast presenti in Macerie Prime ed in buona parte di Scheletri, non pervenuti. In compenso ci sono delle interessanti analisi sul politicamente corretto, sulla situazione delle carceri ai tempi del Covid, un mini-resoconto su un suo recente viaggio nel Kurdistan iracheno. Materiale apparso su Panorama, su Internazionale. In quei salotti insomma, dove il titolo di ultimo intellettuale (ve ne avevo parlato qui, svariati litri di bile fa) fa una bella figura.
Ma lo spazio per la slice of life in salsa nerd proprio no. Poi leggi meglio e ti trovi davanti una storia inedita di più di cinquanta pagine intitolata Il Castello di Cartone. Si tratta di una lunga sequenza dove non ci sono particolari aggiornamenti sulla soap opera calcaristica ma invece viene spiegato nel dettaglio tutto il lavoro che c’è stato per Strappare Lungo i Bordi (di cui parlo qui) , la serie su Netflix che è stata capace di lanciare sul mercato mondiale i personaggi creati da Michele in un format accattivante e con una animazione fresca e appassionata. In queste pagine Michele racconta i suoi dubbi e le perplessità. Spiega la sua essenza di control freak, con la difficoltà di lavorare affidando qualcosa a terzi. Racconta la genesi della serie con lo sviluppo del lavoro con Movimenti e Doghead assieme naturalmente al supporto dell’Editor Bao Michele Foschini.
L’aspetto tecnico è molto interessante, ed è anche un ottimo modo per analizzare le motivazioni ed i dubbi che hanno animato Michele mentre portava sullo schermo Zerocalcare.
Molti dei dubbi sono comprensibili, e forse credo che se avessi a disposizione un simile potere mediatico, la paura di finire a fare compromessi sarebbe quello che mi farebbe valutare tutto fino al rischio di restare completamente immobile (cosa che peraltro considera pure lui!).
Ma il problema che mi fa storcere un po’ il naso, perché capisco la necessità espressiva, però il montaggio in questo caso perde drammaticità, sta proprio nell’indice de volume. Messo com’è sembra davvero che la prima parte dura, motivata, barricadera, serva per mettere le mani avanti e controbilanciare la marchetta a Netflix. Se di marchetta si tratta.
Certo, se vieni dalla scuola del punk, venderti al mainstream equivale alla morte, ma se vivi con la necessità di esprimere te stesso più di ogni altra cosa, allora la tua massima ispirazione dovrebbe essere quella di arrivare a più persone possibili.
In questo esatto momento, sotto casa mai nel cuore della Brianza sui muri del centro ci sono le scritte raffigurate a Rebibbia. Qualcosa deve essere passato.
Fa incazzare pensare che Michele, o qualcuno in Bao, abbia pensato che il solo modo per smarcarlo dalle critiche fosse fare un libro con i suoi interventi più impegnati. Fa rabbia perché basterebbero le ultime parole dell’ultimo capitolo della sua excusatio non petita, per capire che gran comunicatore sia Michele, e come solo il pensiero di tenerlo relegato in un angolo, sia un maledetto peccato mortale.
Uno pensa che nella vita a volte devi fare un salto nel vuoto, per vedere come va avanti. Come se la vita ed il salto fossero due cose diverse. Ma non funziona così. La vita E’ quel salto. Quella materia ignota che scivola via appena la attraversi. E’ quella cosa che ti cachi sotto. E’ quella caduta, la vita. Sono tutti gli altri momenti, quelli in cui non salti, che si dovrebbero chiamare in un altro modo. Ma è troppo angosciante per dargli un nome.
Un Ultimo grazie immenso va a Giancane, per la colonna sonora del cartone, e per uno dei suoi testi più toccanti ed essenziali.