La prima volta che sentii parlare dei Craneberries ero nelle vacanze di Natale del quarto anno delle superiori. L’anno magico, ma questa è un’altra storia. Quella che ci riguarda parte da una rivista che oramai non pubblicano più, si chiamava Rock Star ed ai tempi rappresentava un po’ la mia Bibbia per l’acquisto della musica alternativa (alternativa rappresentava tutto quello che era differente da quello che passavano le radio commerciali, tipo). Comunque parlavano dell’album appena uscito, No need to argue come un capolavoro di Dream Pop.
Non so se la definizione calzasse, obiettivamente è tanto tempo che non mi preoccupo più di catalogare musica per etichette che non siano buona o non buona. Ma sulla fiducia comprai l’album. Era il giorno prima che ricominciassero le scuole, quella sera lo ascoltai diverse volte. La cosa che più mi colpiva della voce di Dolores O’Riordan era quell’espressività un po’ sommessa, come se ti stesse sussurrando un segreto antichissimo. Anzi, a volte sembrava proprio lei a prendere coscienza di quell’eterno e rognoso passaggio all’età adulta.
Non bisogna dimenticare che questi ricordi, come la parte principale della vita di Dolores sotto i riflettori, si teneva negli anni ’90. Anni brutti, anni in cui la sofferenza sembrava il giusto modo di fare ammenda per l’edonismo della decade precedente.
Io e Micol Beltramini dobbiamo avere gusti simili (dovrei chiederle se ascolta Springsteen, ma dubito). Ha scritto di Jeff Buckley. E ora di Dolores. Vorrei tanto la sua versione della fine di Kurt.
La bravura di Micol è nel mettere in ordine i fatti, ed in questo splendido volume potete trovare la biografia della O’Riordan costruita in maniera impeccabile. Senza che diventi didascalica senza che sfoci nel pettegolezzo. Ma se la struttura su cui si poggia il racconto è terribilmente solida, l’interpretazione dei sentimenti, la chiave di lettura di una esistenza irrimediabilmente danneggiata all’origine è squisitamente generato da Micol. L’interpretazione di Dolores donna ha un ruolo predominante rispetto a quello di rock star. Le sue esperienze musicali compongono naturalmente un elemento della vita della Donna, ma non si tratta di un’agiografia di premi, concerti e composizioni.
Dolores O’Riordan è cresciuta nell’Irlanda cattolica, una famiglia numerosa frequentata da un Mostro che l’ha danneggiata per sempre. Quel peccato originale ci viene mostrato lentamente, togliendo un velo alla volta. Credo che, anzi, l’analisi delle copertine dei loro dischi, quel piccolo diorama di stanza messo nei boschi, sia perfettamente funzionale alla comprensione di questo scricciolo di donna e analizzi nel profondo il suo IO interiore frammentato. In questo, l’inserimento del ragazzo incappucciato, il solo personaggio di finzione contribuisce magnificamente a creare una chiave di lettura ulteriore.
Le matite di Francesca Ciregia sono incredibile nel saper miscelare stili diversi. Assemblare una realtà onirica una pubblica e poi aggiungervi una dimensione privata è un lavoro complesso, ma da ogni pagina si riesce a percepire il raffinatissimo lavoro di analisi e sviluppo dello spazio bianco. Il modo in cui disegna Dolores è incredibilmente raffinato. Le sue sopracciglia perennemente stupite, la corporatura minuta, l’anima di una guerriera vengono rese alla perfezione. Ci sono un paio di vignette in cui la giovane Dolores somiglia molto ad una giovane Micol, ma potrebbe anche darsi che si tratti di una mia suggestione. Del resto il dolore che ha vissuto lei, amplificato, bruciato sotto i riflettori, è lo stesso di una generazione disillusa, per la prima volta meno sicura di quella precedente.
Ci siamo tutti, là. A rischiare di fallire giorno dopo giorno.
Infine, ultima nota : il lavoro della BD Edizioni è semplicemente eccezionale. Il volume è estremamente curato in ogni dettaglio, dalla rilegatura alla grammatura. Dall’introduzione alle grafiche. Un ottimo lavoro, sotto ogni punto di vista.