Parlare di MCU è sempre complicato per me. Convivono due anime differenti. Quella felice di vedere i personaggi con cui sono cresciuto trasformati in sogni dello schermo d’argento, godibili per chiunque. E, naturalmente la consapevolezza che, a renderli godibili per chiunque, in una certa misura significa banalizzarli, a volte fino al limite del ridicolo, altre creando un high concept da applauso.
Insomma è un po’ la tiritera del supporter della prima ora di un gruppo rock che, quando finalmente raggiunge la fama, allora, per forza, si è venduto.
Ah le acrobazie del non essere mai contenti.
Per cui arriviamo a questo Licantropus. Prima di tutto apprezzo la scelta vintage del voler utilizzare il vecchio nome del’editoriale Corno. Già in questo si percepisce quel desiderio di omaggiare il cinema Universal degli anni ’50. Quello di Bela Lugosi e Boris Karlov per intenderci.
Un significativo dato di fatto, per me, è che quando MCU adotta il bianco e nero, in linea di principio sta facendo del metacinema. Come in Wandavision, le scenografie, il taglio stesso della scena è una continua strizzata d’occhio al fandom che si aspetterebbe da un momento all’atro di veder comparire la creatura della laguna nera. Colonna sonora, filtrata e doppiaggio, rendono la pellicola un perfetto falso d’autore. Addirittura, e forse il montaggio qui strafà un po’, ci troviamo alcuni trucchetti da pellicola invecchiata degni del vecchi Adobe Premiere.
Tutto prende consistenza, mostrando la propria forza espressiva, ma anche i veri colori (mi si perdoni il gioco di parole), nel momento in cui, al comparire della Bloodstone, i riflessi della pietra sono decisamente rossi.
La sceneggiatura non raggiunge mai il livello di brividi da horror, anche perché dichiaratamente si tratta di uno speciale di matrice halloweeniana, che di per sé ricorda quindi, una festa con mostri, ma per bambini.
Il concetto della caccia al mostro, con un piccolo esercito di strighi è mediato da molte cose oramai, incluso proprio the Witcher, ma qui, semmai, quello che abbonda è uno humor macabro che stempera la tensione ma rende innocua la carica adrenalinica. Licantropus non è progettato per essere un film spaventoso, siamo lontani dall’allure anni ’90. È una pellicola che deve smontare quegli elementi per renderne una versione più digeribile, per famiglie che non devono avere il sonno poi disturbato da incubi notturni.
I due mostri che compaiono, in una straordinaria resa degna del più alto Tiziano Sclavi, ci insegnano che il vero abbrutimento è squisitamente umano, mentre loro, al contrario, cercano solo di sopravvivere.
In questo va forse sottolineato che per essere una pellicola dedicata a Licantropus, dell’uomo lupo vediamo davvero poco e per pochissimo tempo. Al contrario è un piacere riconoscere la versione di questo universo di Ted Sallis, alias l’Uomo Cosa. Creatura genericamente alquanto terrificante, quanto misterioso è il fatto che non proferisce verbo ma semplicemente brucia i pavidi che osano sfiorarla. Qui è reso troppo un amicone, una sorta di baby Yoda ipertrofico per cui già immagino i peluche nei non più esistenti Disney Store.
Nel complesso la pellicola è davvero piacevole da guardarsi, mescolando supereroi horror e creature Universal in un sorta di tarantiniano mash-up, con la differenza che qui non ci sanguineranno gli occhi.
Ma non potremmo ignorare, una certa eleganza nella realizzazione che rende la pellicola godibile, e perfetta, per una serata in famiglia.