Devo ammettere, con mio grande dispiacere, di non conoscere fino a fondo il lavoro di Omar di Monopoli. Ed è un maledetto peccato, perché se c’è qualcuno capace di raccogliere il lascito della generazione cannibale, quello è lui.
La sua consapevolezza nel rendere il meridione, una terra bollente e senza pietà, una sorta di Messico intriso dei valori distorti in maniera raccapricciante della nostra tradizione culturale, farebbe diventare verde di invidia Robert Rodriguez.
E la Bonelli è stata bravissima a selezionare il suo lavoro per una delle più incandescenti uscite targate Audace dell’anno appena trascorso. Nella perfida terra di Dio, tra le sue storie più recenti, ci viene raccontato un meridione impietoso e fatiscente.
Prima di ogni altra cosa è una storia di vendetta. Rappresenta la chiusura dei conti, lo stringere dei nodi ad un pettine rimasto teso per troppo tempo. Come ogni storia di vendetta dove un grande intervallo di tempo viene ad essere considerato come elemento chiave della faccenda, non si può non fare i conti col Conte di Montecristo (perdonate il vergognoso gioco di parole).
Il mondo che accoglie Tore, protagonista indiscusso della faccenda, è crudele ed impietoso. Ogni angolo di questo Salento non sembra disposto a concedere tregua. I grandi poteri, la sacra corona unita, ma anche il clero, sono tutti intimamente corrotti ed arroccati dietro i propri interessi.
Gli spazi riservati alla bontà ed alla purezza di cuore sono limitati al meno che l’essenziale. Non c’è una speranza salvifica all’orizzonte, e questo rappresenta gran parte del fascino della storia.
Una vendetta di questo genere, incarognita dagli anni, e non esente da peccati originali, non può non avere il tono ed il registro di una strada a senso unico e, sarà pure un mio vezzo, ma ho una passione per quelle storie dove il personaggio si sfalda, cade in pezzi, si trascina lungo un traguardo intriso di sangue e sudore.
In questo, il lavoro di Maurizio Colombo alla sceneggiatura è impeccabile. La sua capacità di districarsi tra dialoghi secchi, diretti, al limite della punch line ed una sceneggiatura che riempie nel dettaglio ogni spazio di un immaginario Salento violento ed indolente.
Giuseppe Baiguera è bravissimo nell’approcciare la storia con un tratto solido ma non rigido e oltremodo carico di dettagli capaci di donare profondità alla scena. La sua capacità è quella di rendere solidi ed allo stesso tempo espressivi i volti dei protagonisti che sembrano bruciati in egual misura da sole e vita.
Si tratta di un’opera coraggiosa, che risponde ad una precisa necessità. Quella di raccontare storie che, nella piena tradizione di fumetto popolare abbraccino i grandi romanzi, ma anche saperli mescolare con l’innovazione ed un gusto molto sagace per uno stile sporco e dannatamente moderno.
Bonus aggiunto, la postfazione dello stesso Omar che racconta come in qualche modo questo lavoro chiuda un cerchio, raccontando di lui, giovane autore in erba e desideroso di spingersi oltre lungo il sentiero della nona arte.
Sogno irrealizzato originariamente irrealizzato per colpa delle vie sghembe che a volte la vita sa cogliere, ma presente e vivido in questa nuova opportunità che, avrebbe tranquillamente tutte le carte in regola per poter divenire il prologo di una nuova serie di romanzi a fumetti.