Rita Porretto e Silvia Mericone sono divenute la mia coppia di sceneggiatrici preferite, per quello che riguarda l’inquilino di Craven Road. Prese singolarmente, le loro storie sono cariche di spunti, fresche emozionalmente, ma sulla lunga distanza, ci si trova davanti ad un duo talentuoso, capace di snocciolare una prospettiva sempre fresca sulle avventure del nostro.
Ne la strage silenziosa, Dylan è a contatto con una entità sovrannaturale meglio definibile come fantasma di donna. Sam si presenta a Dylan e lo accompagna in un viaggio che più che più di tingersi dei colori dell’orrore, segue quelli dell’introspezione psicologica. Il dolore e la dimenticanza come traumi rimossi che Dylan, quasi come uno psicanalista, deve approfondire per venire alla luce di un caso di bambini scomparsi che sembra intrecciarsi alla vicenda di Sam attraverso un filo logico non perfettamente comprensibile.
Sam è in forma intellegibile. È lontano dall’essere un semplice ectoplasma intento a ripetere meccanicamente gesti un tempo significativi. È ben lontana dal raggiungere una pace troppo anelata e, anzi, dialoga con Dylan al punto da renderli simili, da fuori, alla classica coppia che sta per finire a letto assieme.
Ma la potenza del dinamico duo sta proprio nell’avvicinarsi gradualmente, senza troppi traumi all’origine del trauma. Porretto e Mericone sono bravissime a far emergere all’ultimo quello che è sotto gli occhi di tutti. Ma riescono in un perfetto trucco di prestidigitazione, arrivano a mostrarci la verità quando ormai siamo sin troppo presi nel turbinio delle supposizioni.
Il tema portante, quello della violenza sui più deboli, viene sviscerato mostrandone una conseguenza niente affatto banali. I mostri generano mostri e questo solo un’anima sofferente come il nostro Dylan può capirlo alla perfezione.
Riesco già a sentire cosa scriveranno i detrattori, che è l’ennesimo albo dove si parla di violenza sulle donne, dove vige il politically correct. Non state a sentirli, chi si appella a queste formule in genere pretende solo il diritto di poter fare quello che vuole. Al contrario qui ci troviamo davanti ad un Dylan umano ma crudo, testimone degli eventi ma anche fautore di una giustizia che potrebbe essere quasi al di là dell’umano.
Da questo punto di vista, il finale della storia vi sorprenderà.
Come pure le matite di Luca Casalanguida, nettissime nel suo bianco e nero perfettamente rimarcato. Il suo forse è un Dylan meno canonico di quanto potremmo aspettarci, ma moderno e carico di espressività. La città di Londra, attraverso le sue chine è resa viva e pulsante. E naturalmente ben accordata alle suggestioni notturne di questa storia.
Unico neo, ed è veramente un peccato, suggerire nei redazionali di testa la bellissima pellicola the Others con Nicole Kidman. Tende a rovinare ai più suggestionabili l’effetto sorpresa.