Dove l’uscita dell’interessantissimo Isole (ne parliamo qui) quest’anno ed Emma W(r)ong lo scorso (ne parliamo qui), entrambi editi da SaldaPress, ho avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Lorenzo.
- Lorenzo, ti abbiamo lasciato l’anno scorso nella spy-story di emma w(r)ong e ti ritroviamo, tra le altre cose, alle prese con una storia ucronica come Isole. Come (se) è cambiato il tuo modo di costruire una storia passando da un modello all’altro?
Inverti
l’ordine degli addendi: prima è uscito ISOLE in Francia, poi, tre anni dopo, EMMA WRONG. Sono due libri prodotti per il mercato francese, il primo uscito nel 2016 per Sarbacane, il secondo nel 2019 per Akileos. Il processo creativo è singolo per ognuno di noi, ma anche per ogni storia. In questo caso il ritmo e l’atmosfera sono due aspetti molto diversi e legati al genere di riferimento: ho modificato questi codici, nel caso di EMMA con l’aiuto di Laura Guglielmo, la disegnatrice. Codici come linguaggio di dialogo, costruzione di personaggi, “voce” della storia. Ma in generale comincio sempre dalla fine, poi passo all’inizio e farcisco nel mezzo la narrazione.
- Tra l’altro in questo caso ti sei occupato della realizzazione di tutto il volume, come si modifica il tuo modo di lavorare passando da sceneggiatore ad autore completo?
La risposta di questa domanda è legata alla precedente. Nel caso di EMMA sapevo che non lavoravo da solo e questo ti smarca da un sacco di responsabilità grafiche: ti permette di immaginare ma senza il compromesso dei limiti. Io ho molti limiti come disegnatore, cosa che impatta su quello che racconto. Ad esempio: odio disegnare gli animali, perché non mi riescono. Le tue mancanze hanno effetto sul genere, sui personaggi, sul worldbuilding. Quando hai una disegnatrice come Laura, non hai limiti. Ma poi lavori per te e devi passare di nuovo ad una scrittura limitata. Faccio questo ping-pong di continuo. Scrivo almeno due libri contemporaneamente e nel frattempo lavoro ad altri libri da autore completo. Ogni limite è uno stimolo ma anche una frustrazione. Ma non saprei come vivere diversamente.
- In questo caso, hi prodotto un trattamento e poi una sceneggiatura, o lavoravi direttamente ai layout?
Se lavoro da solo, come su ISOLE, non scrivo una sceneggiatura. Ma fra la scrittura del soggetto e lo storyboard faccio un ulteriore
passaggio che si chiama “scriptbook”, ovvero una tabella/scaletta divisa per tavole in cui segno grossolanamente quello che accade nella tavola e magari metto già input di regia, di gestione del dialogo e dell’emotività dei personaggi.
Lo consiglio sempre a tutti i miei studenti, è un dispositivo che ti consente di tenere tutta la storia sott’occhio agilmente e che ti permette di spostare tavole, nel caso, o di scambiarle. Però lo show-down definitivo è sempre lo storyboard, il fumetto in purezza. Lì vedi ogni pregio ma soprattutto ogni difetto.
- Ho apprezzato molto l’ambientazione, il modo in cui sei riuscito a creare la storia di una comunità che si forma, unita solo dalla comune origine di prigionieri di guerra, come hai sviluppato le dinamiche di gruppo ?
Ho preso esempio da come funzionano le cose nelle grandi comunità capitalistiche e le ho ribaltate. Se ci pensi, la comunità di ISOLE è basata su fondamenti comunisti, è un’utopia molto semplice, controllabile, gestibile. Il segreto è la quantità. Più allarghi il recinto, meno la società è controllabile e – paradossalmente – più manipolabile. Ho preso anche ispirazione dalla Strategia della Tensione degli anni’70, ’80 e ’90 italiani: come si governa in maniera ottimale? Mentendo, organizzando, tranquillizzando, creando nemici esterni, discolpando colpevoli interni. Ho fatto un worldbuilding leggero che mi permettesse di dare l’idea di una società naturale e di gruppi familiari non istituzionale e in cui i lettori potessero identificarsi.
- La storia contiene due elementi importanti a mio parere, il primo è quanto si è disposti a spingersi oltre per proteggere la propria comunità. E tu sei riuscito a rendere benissimo il senso di pesantezza che un segreto può portare.
Grazie! I segreti e le omissioni sono fondamentali per la gestione di una società umana e direi la base della democrazia rappresentativa – ma anche in piccolo di un rapporto d’amore, di amicizia, lavorativo. Nella vita come nello storytelling, c’è uno stigma sul Segreto che “sporca” l’anima e che rende divertente il personaggio dall’esterno ma che appesantisce il personaggio nella sua costruzione. Dovremmo superare concetti come questi, oppure accettare che fanno parte di noi. Riferito alla società, il Segreto non può essere altro che imposizione di violenza e dissimulazione pubblica della medesima il tutto a favore del mantenimento dello status quo.
- Il secondo elemento è l’apertura verso l’Altro. Soprattutto in un mondo come sta diventando il nostro da due anni a questa parte, avere fiducia verso gli altri è complesso. In genere sono le nuove generazioni che si mostrano più aperte. Ma qui non funziona proprio in questa maniera…
No, l’idea è Comunismo puro integrato all’interno di dinamiche umane e quindi animali. L’apertura verso l’Altro è solo un aspetto del contesto in cui vivi, è una cartina di tornasole del progresso che si fa largo nel
processo reazionario di mantenimento dello status quo. Quelli che votano più a destra in italia adesso, con più convincimento, sono i giovanissimi – che poi siano fluidi sotto altri punti di vista è un’altra cosa. L’argomento della fiducia posto in un mondo in guerra acquisisce nuovi significati, più feroci, e se per un tradimento emotivo rischi ferite interne, in un tradimento militare rischi tutto la vita. Dici “da due anni a questa parte” toccando l’argomento virus, che è proprio come funzionano i dubbi e la sfiducia. Passano di testa in testa e si innestano, la generazione di cui fai parte può averti dotato di filtri più spessi, ma è sempre un rischio.
- Il rapporto padre/figlio qui è letto su tre generazioni che assumono posizioni anche radicalmente opposte verso la protezione della comunità. Ti va di parlarcene ?
Dalle mie parti si dice “Il padre guadagna, il figlio mantiene, il nipote sperpera”, suggerendo una qualche perdita di valore con il passare delle generazioni. In parte in ISOLE si può dire che il padre costruisce, il figlio mantiene, il nipote cambia. Il padre (spoiler) usa violenze segrete, il figlio crede fermamente nelle bugie democratiche, il nipote sceglie strade diverse. Come Bunel è emanazione della “vecchia guardia” e dei vecchi metodi, Danel rappresenta il tentativo di superamento della protezione della comunità, anzi è proprio il rifiuto di protezione, il rifiuto della comunità come imposta dall’istituzione. La società per sua stessa definizione è conservatrice, ogni passo dev’essere combattuto e vinto. O anche no. É lecito anche scegliere di non giocare, se il gioco non ti piace.
- Con il personaggio di Elias viene sfiorato anche il concetto di fluidità sessuale, sbaglio?
In parte sì, ma non è il focus. Volevo un personaggio che si avvicinasse alla verità più degli altri ma che fosse ambiguo, un mutaforma morboso che riuscisse a vedere oltre quello che vedevano gli altri, ma che al contempo non fosse simpatico – ed Elias non lo è. In Elias la fluidità è sì sessuale, ma anche morale, etica, empatica.
- Parliamo della componente grafica : come hai sviluppato il character design ?
Tanti studi. Tanti disegni preparatori dei personaggi, delle armi, dei vestiti, del taglio di capelli É il problema di un worldbuilding, puoi anche prendere riferimento dalla realtà, ma se non è la tua realtà tutto dovrà essere integrato e coerente a prescindere. L’idea di base è che quello di ISOLE fosse un mondo laterale al nostro – non un futuro prossimo, né ovviamente un passato. Un dopodomani di un altro mondo. Ma dovevo rendere riconoscibile ogni aspetto, quindi il lavoro è stato lungo. Sono partito dal luogo, dal personaggio principale: l’Isola. Una volta capito come viveva la società e come si era sviluppata in un luogo dal clima mite e temperato, il resto è stato facile. Poi ho individuato gli eserciti, come potevano vestirsi, come differenziarli. Per Kabe ho preso ispirazione dai soldati americani in Vietnam modificando armi, cuciture, tasche. È stato divertente.
- In alcuni aspetti dell’isola ho notato un omaggio a Miyazaki, in effetti l’ambientazione potrebbe benissimo essere la stessa di Incredible Tide. È una fonte che hai preso in considerazione?
Mi piace molto Myazaki e mi aspetto una lapidazione confessando che non ho mai visto “Incredible Tide”.
Ma l’approccio che ha Miyazaki con i mezzi volanti è sicuramente alla base di ISOLE, è stata una fonte fondamentale e sono contento che tu l’abbia colta. Ho rubato dettagli e consistenze da immagini dei suoi cartoni, “Porco Rosso” e “Il Castello Errante di Howl” fra tutti. L’idea era di mettere una “nota stonata” in un fumetto occidentale con la compressione e lo stille alla francese anche per dare un input su quello che poteva esserci fuori dall’Isola.
- Come hai sviluppato il color script ?
Sono partito dalla sensazione che volevo dare. Di solito sono molto più logico, ISOLE è anche uno dei pochi fumetti che abbia mai colorato completamente. Ma era una storia che lo richiedeva. Stavolta ho seguito un’intuizione emotiva: volevo che fosse un noir pieno di luce, un contrasto pieno e piccolo, che simboleggiasse conflitti piccoli con dinamiche minimali e che la maggior parte dell’azione fosse segreta, che si svolgesse all’ombra delle foglie. Da lì è stato facile, dovevo solo seguire i contrasti del verde e dei gialli. L’idea era che le scene trasmettessero freschezza.
- Una cosa molto bella del volume, è che in seconda di copertina c’è una mappa dell’isola, pulita, intonsa, ed in terza la stessa mappa è piena di annotazioni e sporca. Quasi una metafora che la conoscenza implichi una perdita di purezza ?
Esatto, la mappa rappresenta il passaggio di Kabé a Naika, di Danel da bambino a ragazzo, di Antol da democratico puro a vittima del sistema.
Ma è anche la parte divertente del creare storie: dar loro contesto e metterci cose che ami, come le mappe dei fantasy – e questo è il caso. L’Isola la vedi pura all’inizio, sporchissima alla fine, ma nel mezzo c’è tutto il libro: come ci si sporca quando si vede la realtà delle cose.
- Quale è il tuo rapporto con lo spazio bianco ?
É un dio severo al quale devo ubbidire. Mi promette cose che arrivano sempre, ma a fronte di una grande fatica. È un’ossessione mistica: usare il vuoto, dargli importanza, dargli significato. Solo gli esseri umani danno un senso al vuoto. È allucinante, è un pensiero magico. Ed è importante dargli valore, onorarlo. Uso lo spazio bianco a seconda di come la storia necessita. Però a volte forzo l’utilizzo perché voglio che sia dinamico e mai scontato: è dove nascondi le cose importanti, è la cassaforte della sequenza, devi volere che il lettore ci si tuffi per poi buttarsi nella vignetta seguente.
- Puoi dirci qualcosa sui tuoi prossimi progetti ?
È appena uscito EFFROYABLE SHERMANN in Francia, per Ankama, disegnato da Alessandra Marsili, che stiamo cercando di portare presto in Italia. Il 5 ottobre per
Sarbacane uscirà BURN BABY BURN, uno dei tre progetti che volevo fare prima di morire – e ce l’ho fatta dopo 11 anni di scrittura e tre di produzione. A Lucca Comics invece esce DELUSI DALLA PREDA per Mammaiuto, che sto ultimando in questi mesi. Poi c’è FORTEZZA VOLANTE disegnato da Miguel Vila, in uscita per la collana Cosmica di Minimum Fax nel 2023. Ah, poi ci sono due albi della serie regolare di Dylan Dog che chissà quando usciranno, ma scrivere Dylan è sempre stimolante.
Grazie, Mario!
Grazie a te, Lorenzo!