Con DC KO si ritorna alle atmosfere fracassone che tanto piacciono a Scott Snyder. Fernandez e Sanchez forniscono un controcanto artistico notevole, portando l’albo ai livelli di ogni altra Crisi DC.

Il punto è che, forse questa non è la solita Crisi. Al solito, il terreno è stato preparato accuratamente negli anni passati. Williamson su Superman ha fatto ridiventare Lex Luthor una simpatica carogna e poi ha portato indietro una Legioni dei Super Eroi corrotta da Darkseid. Che diavolo, in maniera del tutto inaspettata, è pure tornato Superboy Prime, poster boy delle Crisi DC anni ’10.
E no, non era una cosa che ci aspettavamo di sicuro. Narrativamente serve tutto per recuperare le fila da dove si erano interrotte con lo speciale All In dello scorso anno. Booster Gold ritorna come un potentissimo Signore del Tempo, assieme a Grodd e ad un Doomsday revisionato come Time Trapper.

La situazione questa volta è più critica del solito perché Darkseid, creduto morto, sta per ritornare, e nel farlo distruggerà tutto.
C’è solo un modo per fermare tutto: sconfiggere Darkseid sul suo stesso terreno (non vi racconterò tutti i dettagli, per non rovinarvi le sorprese). Vi basti dire che, per trovare il campione adeguato, viene organizzato un torneo ad eliminazione diretta tra tutti i grossi calibri DC, heroes and villains, ovviamente. Insomma, sostanzialmente si viene a creare qualcosa di molto simili al vecchio videogame Injustice. Di cui peraltro sono state tratte numerosissime serie a fumetti, per cui, viene da pensare che forse una fetta di pubblico se la fosse pure ricavata.
Il punto è che in fin dei conti qui ci si trova davanti all’high concept meglio distillato di tutte le crisi DC. Per cui non si può certo biasimare Snyder cui, alla fine, ‘ste cafonate sono sempre piaciute. E non è certo il caso di biasimare la DC che in fondo organizza questo evento per far incrociare i guantoni ai personaggi canonici e a quelli ultimat… pardon absolute.
Ed infatti non è un caso che alla fine di questo primo albo la trinità in versione estrema compaia armata di mazze chiodate. Ma, attenzione, se ne vedono solo i piedi per cui, chissà se poi si tratta davvero di lui.

La cosa bella di Snyder, che in fondo tende ad essere un romantico, è che non elimina mai del tutto la necessità introspettiva. E pure in questo frangente non mancano le sorprese. Superman, o meglio Clark Kent, che forse è il più emotivo e meno pragmatico dei tre. Il problema di Clark – come spiega Lois Lane, è che lui non riesce ad accettare un gioco dove non tutti possano vincere.

Ed eccolo qui il fucile di Cechov. Potrete scommetterci che, per la fine della miniserie, il nostro Clark dovrà accettare che, in fondo, una delle versioni definitive del sacrificarsi è proprio quella di pensare che si deve prevalere da soli, consci che in vetta c’è posto solo per uno.
È una sensazione, ma credo che potrebbe essere un elemento di questo genere.
Graficamente si può dire proprio poco. La regia grafica di Fernandez e Sanchez garantisce una resa estremamente classica, per fortuna, poco debitrice al fumetto di matrice manga, ed invece focalizzata su una struttura a rete classica con un design riveduto ma sostanzialmente non lontanissimo da quello che era il lavoro dei grandi dai tempi di Perez in avanti.
In definitiva, molto hanno criticato questa storia per essere uno scontro infinito senza particolare senso. Prima di pronunciami, mi limito a dire che c’è del buono che si intravede. Che indossi catene d’oro e vestiti oversize, è tutta un’altra faccenda però.
